Con il patrocinio del Municipio Roma X e con la collaborazione di
Filippo Cannizzo Ambassador Beauty&Gentletude e coordinatore ResiliArt Italy: Bellezza di Unesco
L’erosione delle coste mobili, quelle cioè costituite dalle spiagge sabbiose e ghiaiose, è un problema che da tempo affligge molti Paesi. Il fenomeno può avere varie cause che possono agire singolarmente o in concomitanza tra loro. Esse possono avere origine naturale oppure antropica ma anche l’insieme delle due.
Cause
Le principali cause possono essere le seguenti:
- Subsidenza dell’area costiera – è un processo di movimento verticale verso il basso di un determinato settore costiero. Questo può avere causa tettonica (movimento di faglie) o essere dovuto a naturale compattazione dei sedimenti. A queste due cause naturali si può aggiungere una subsidenza per estrazione di fluidi dal sottosuolo (estrazione di gas, petrolio o acqua) che ha ovviamente una origine antropica. Fenomeni di subsidenza sono noti a esempio nell’area della Laguna Veneta.
- Bradisismo negativo – è un movimento verso il basso di un settore costiero prodotto da fenomeni legati al vulcanismo. Si tratta di un processo spesso temporaneo e reversibile che comporta movimenti verso il basso e verso l’alto (bradisismo positivo) del settore costiero (es. area dei Campi Flegrei) che favoriscono rispettivamente processi di arretramento o di avanzamento della linea di riva.
- Sollevamento del livello marino – Si tratta di un processo collegato a cambiamenti climatici globali in quanto durante le fasi calde (es. periodi interglaciali) parte dei ghiacciai e delle calotte polari si fondono riversando in mare grandi quantità di acqua aumentando il volume delle acque marine. E’ un processo naturale anche se all’attuale fase calda molti attribuiscono un’origine antropica.
- Diminuzione del rifornimento sedimentario – Le coste mobili sono costituite da sabbie e/o ghiaie la cui origine è in gran parte dovuta al sedimento che i fiumi portano al mare. Solo in una quantità minore di casi il sedimento deriva dall’accumulo di frammenti di organismi marini (es. molluschi, coralli). La quantità di sedimento fluviale varia naturalmente nel tempo con le variazioni climatiche (è maggiore in periodi piovosi e minore in quelli più aridi) ma anche l’azione dell’uomo lo influenza significativamente. Il disboscamento e lo sviluppo dell’agricoltura favoriscono l’aumento della quantità del sedimento fluviale che viceversa è sfavorita dalla regimazione dei corsi fluviali dalle dighe (invasi per fini agricoli o idroelettrici) e dalle opere di stabilizzazione dei versanti.
- Opere costiere – Localmente fenomeni erosivi possono essere innescati da opere costruite sulla costa come moli, porti o costruzioni industriali aggettanti che agiscono come trappole sedimentarie impedendo il naturale rifornimento di parte delle spiagge.
Cosa è una spiaggia
Una spiaggia è un corpo di sedimento normalmente sabbioso e meno frequentemente ghiaioso in parte emerso e in buona parte sommerso la cui dinamica è essenzialmente dovuta al moto ondoso e alle correnti a esso associate. Il limite naturale verso terra della spiaggia è dato dal primo cordone dunare quello verso mare non è la linea di riva ma è posto a una certa profondità (detta profondità di chiusura) oltre la quale l’effetto del moto ondoso efficace diviene trascurabile. Tale profondità dunque è diversa da spiaggia e spiaggia in funzione della locale efficacia del moto ondoso. Per i mari italiani la profondità di chiusura è per lo più compresa tra circa 6 metri (Mare Adriatico) e circa 10 metri in alcune zone della Sardegna. La morfologia della spiaggia emersa (tra duna e linea di riva) è caratterizzata da una inclinazione generale verso mare ma anche da alcune contropendenze (dette berma) che rappresentano il limite di espansione delle onde nelle fasi di mare quasi calmo (berma più prossima alla linea di riva) e di tempesta (berma più prossima alla duna). Anche la parte sommersa (tra linea di riva e profondità di chiusura) è caratterizzata da una generale inclinazione verso mare ma con una o più contropendenze dette barre. (fig. 1). Tutta la spiaggia è una zona di alto dinamismo e tanto le barre che le berma si muovono quasi giornalmente in funzione del moto ondoso. Anche l’inclinazione della spiaggia varia per lo stesso motivo. Generalmente nel periodo invernale, o comunque a seguito di periodi di mare agitato, le barre sono più lontane dalla linea di riva e la spiaggia emersa è più ristretta e inclinata. Diversamente dopo lunghe fasi di calma come in periodo estivo, la spiaggia emersa è più ampia e meno acclive e le barre sono più vicine alla linea di riva. Per capire se una spiaggia e soggetta a erosione dunque l’osservazione va condotta in un periodo piuttosto lungo e certamente superiore a un anno perché osservando una spiaggia dopo un periodo di mare agitato si avrà sempre la sensazione di una fase erosiva mentre è soltanto una normale fase della vita di una spiaggia. Si potrà dunque parlare di una spiaggia in erosione quando per alcuni anni si misurerà un arretramento della linea di riva e/o un aumento dell’acclività dei fondali.
Figura 1 – Schema di un profilo morfologico di spiaggia.
In molti casi il profilo naturale della spiaggia è alterato dall’opera dell’uomo. Il limite interno in zone urbanizzate non è più la duna ma un lungomare o un muro di uno stabilimento balneare così come in zone industriali da costruzioni atte alla locale attività. Il profilo della spiaggia emersa viene spesso spianato durante le stagioni balneabili e anche la parte sommersa può essere alterata da piloni, scogliere artificiali e moli. Qualunque opera che alteri il profilo naturale porta un disequilibrio della spiaggia che può avere conseguenze più o meno importanti per la vita e la salvaguardia della spiaggia stessa.
Le spiagge del delta del Tevere
Si lamenta ormai da tempo un importante fenomeno erosivo lungo tutte le spiagge del delta del Tevere da Fregene a Ostia. In questa area costiera le spiagge hanno una profondità di chiusura prossima a -7 metri e non risentono di una significativa subsidenza né di fenomeni di bradisismo negativo. I motivi del processo erosivo in atto sono dunque da ricercare nelle altre cause. Si consideri infatti che le spiagge del delta del Tevere si evolvono in funzione del sedimento che il Tevere porta alle foci e che le correnti prodotte dalle onde (correnti lungo riva) smistano dalle foci verso Fregene o verso Castelporziano in funzione delle direzioni assunte giornalmente dal moto ondoso.
La causa prima del processo erosivo è dunque il diminuito apporto sedimentario del Tevere che è l’unica significativa sorgente di sedimento delle locali spiagge. Si considera comunemente che la fase erosiva sia iniziata nel secondo dopoguerra. Questo non è del tutto corretto in quanto nel secondo dopoguerra è iniziato l’arretramento della linea di riva e quindi l’erosione della spiaggia emersa. Come detto in precedenza però la spiaggia ha anche una parte sommersa. Se mettiamo a confronto le batimetrie del 1883 e del 1939 dell’area prossima alla foce del Tevere (fig. 2) si può osservare che l’isobata di -5 metri e quella di -10 metri si sono nel tempo avvicinate molto alla riva e quindi l’inclinazione del fondale tra la profondità di chiusura (circa -7 metri) e la riva è notevolmente aumentata indicando una già esistente fase erosiva non ancora percettibile sulla spiaggia emersa che non risentiva di significativi arretramenti della linea di riva. Un fondale più acclive ha come conseguenza il frangimento dell’onda più prossimo alla riva e quindi una sua maggiore aggressività sulla spiaggia emersa.
Figura 2 – Confronto tra le batimetrie semplificate del 1883 (isobate azzurre) e del 1939 (isobate rosse). Si nota che a differenza della linea di riva la quale non ha subito significative variazioni tra il 1883 (in nero) e 1939 (in blu), le isobate del 1939 sono molto più vicine alla riva indicando un aumento dell’inclinazione del fondale.
A partire dai primi anni ’50 del XX secolo anche la spiaggia emersa iniziò a essere interessata dall’erosione con un arretramento della linea di riva che, iniziato in prossimità delle foci, si è via via propagato lungo tutte le spiagge a nord e a sud di Fiumara Grande. Già nel 1962 l’ingegner Visentini del Genio Civile mise in relazione tale processo con i diminuiti apporti solidi del Tevere. La quantità annuale del sedimento del Tevere è stata misurata, sia pure non in modo continuo, dal 1873 al 1973 e successivamente stimata attraverso determinati algoritmi fino ai primi anni 2000. La figura 3 mostra l’andamento della quantità di sedimento fluviale nel tempo. I rilievi del XIX secolo, per quanto limitati, indicano una media annuale di poco superiore a 10 milioni di tonnellate/anno; i dati della prima metà del XX secolo (a partire dal 1932 dopo un periodo privo di misurazioni) forniscono un valore medio di circa 7,5 milioni di tonnellate/anno. Successivamente i dati mostrano una progressiva diminuzione del sedimento fino ai valori più recenti prossimi a 1 o 2 milioni di tonnellate/anno. La diminuzione del sedimento registrata tra il XIX secolo e la metà del XX è probabilmente da imputare a una variazione climatica, alla fine cioè della fase fresco-umida (nota come Piccola Età Glaciale) che iniziata nel XIV secolo terminò alla metà del XIX e che fu responsabile delle maggiori piene storiche del Tevere e del grande avanzamento del delta dall’area di Ostia antica alla attuale zona di foce. La successiva diminuzione del sedimento fluviale è invece da attribuire essenzialmente agli sbarramenti costruiti lungo il corso del Tevere (principalmente a fini idroelettrici) e al prelievo di inerti, al fine di costruzione di strade e ferrovie, che si protrasse per alcuni anni. Nella figura 3 risulta abbastanza evidente come la quantità di sedimento sia diminuita via via che venivano costruiti sbarramenti lungo il corso del fiume.
Figura 3 – Grafico delle portate solide annue del Tevere. Le misurazioni furono effettuate dal 1873 al 1878 e poi riprese dal 1932. Successivamente al 1973 le misurazioni continue furono interrotte. In basso sono indicati gli sbarramenti costruiti lungo il corso del Tevere posizionati secondo gli anni della loro costruzione.
Fin quando la quantità di sedimento aveva un valore prossimo a quello registrato nel XIX secolo le spiagge tendevano ad ampliarsi ma già con i valori registrati nella prima metà del XX secolo la fase erosiva era iniziata per divenire poi evidente sulla spiaggia emersa non appena i primi sbarramenti furono costruiti sul corso del Tevere.
L’attuale fase climatica (comunemente detta riscaldamento globale) sembra attivare due ulteriori processi che favoriscono il fenomeno dell’erosione. La maggiore energia atmosferica prodotta dal riscaldamento sembra aumentare la frequenza (e forse l’intensità) degli eventi di tempesta rendendo più ridotti i tempi delle fasi di calma in cui la spiaggia si può naturalmente ricostituire, inoltre favorisce l’innalzamento del livello marino (che da meno di 1 millimetro/anno degli scorsi secoli è oggi valutato in 3 millimetri/anno) con conseguente spostamento verso terra della linea di riva.
A queste cause generali e fondamentali possono aggiungersi cause che hanno influenza locale come la presenza di moli aggettanti o di impianti portuali costruiti in mare che, intercettando le correnti lungo riva, possono costituire delle trappole sedimentarie e accentuare sottoflutto il processo erosivo.
Sistemi di difesa
I principali sistemi per mitigare il processo erosivo si basano essenzialmente su tre principi:
- Limitare l’energia dell’onda impattante sulla riva
- Diminuite l’energia della corrente lungo riva
- Ripristinare artificialmente il sedimento divenuto naturalmente insufficiente.
I sistemi possono essere applicati singolarmente o congiuntamente.
Il primo sistema utilizza barriere di massi posizionate a una determinata distanza dalla riva e orientate parallelamente o parzialmente oblique rispetto alla riva (frangiflutti); esse possono essere emerse o appena sommerse. I massi possono avere dimensioni diverse ed essere in roccia naturale o in manufatti talvolta più adatti a creare habitat adeguati alle forme di vita dell’ambiente costiero. L’energia delle onde si scarica in parte sulla barriera e le onde che raggiungono la riva hanno così un’altezza minore. Questa tecnica produce dei fenomeni di diffrazione che producono delle spiagge con forma lunata (fig. 4). Il vantaggio di questa tecnica sta nel tempo limitato per l’attuazione e per il costo non eccessivo. La contropartita è data da spiagge con limitato scambio di acqua ed esteticamente non attraenti. Nel tempo è comunque necessaria una adeguata manutenzione delle opere che tendono a diminuire la loro efficacia.
Figura 4 – A sinistra un rilievo LiDAR che mostra il fenomeno della diffrazione e la differenza del moto ondoso verso mare e verso terra rispetto alle barriere. A destra una foto aerea che mostra l’aspetto lunato delle spiagge protette da barriere frangiflutti.
Il secondo sistema consta di moli perpendicolari alla riva costruiti in massi o calcestruzzo (pennelli impermeabili) che rallentano e deviano la corrente lungo riva generata dal moto ondoso. In tal modo si genera sopraflutto al molo una zona a bassa energia che favorisce la deposizione del sedimento. Tale tecnica tuttavia produce sottoflutto un aumento del processo erosivo con il risultato di non diminuire l’erosione ma soltanto di spostarla sottoflutto. Talvolta tali opere sono costituite da pali ravvicinati infissi nella sabbia che consentono una certa permeabilità (pennelli permeabili); questi sono meno efficaci, producono una limitata deposizione di sedimento nell’area limitrofa al pennello ma non producono una significativa erosione sottoflutto. (fig. 5). Il sistema non presenta particolari problemi per i tempi di messa in opera né per costi elevati.
Figura 5 – A sinistra schema dell’effetto di pennello impermeabile e permeabile. A destra immagine reale di un pennello impermeabile con sedimentazione sopraflutto ed erosione sottoflutto.
Una sorta di combinazione delle due tecniche sopra illustrate sono i cosiddetti pennelli a T. Essi sono costituiti da massi che formano un pennello perpendicolare alla riva che ha in continuità verso mare una barriera parallela alla riva. Tale sistema è più efficace dei precedenti generando un’area di calma tra due pennelli che limita la dispersione verso il largo del sedimento (fig. 6). Il sistema non richiede tempi eccessivamente lunghi e ha costi non particolarmente elevati.
Il ripascimento è la tecnica con cui si posiziona artificialmente sulla spiaggia il sedimento che naturalmente non è più disponibile. Questa operazione può essere fatta reperendo il sedimento necessario da cave a terra o da cave in mare. Si tratta di una tecnica costosa che può dare buoni risultati a condizione che le sabbie utilizzate abbiano granulometria (ossia la granezza dei granuli) e densità adeguate all’energia del locale moto ondoso. Nel caso in cui le sabbie vengano prelevate da cave a terra queste vengono trasportate con autocarri sulla spiaggia e poi assestate con adeguate macchine movimento terra. Nel caso in cui si usino cave marine il sedimento viene prelevato dal fondale attraverso appositi natanti che una volta avvicinatisi alla spiaggia inviano attraverso una tubazione il sedimento misto ad acqua sulla riva dove macchine movimento terra lo sistemano secondo il profilo del progetto (fig. 7). Le cave a mare sembrano essere migliori sia economicamente sia per rapidità di esecuzione ma è assolutamente indispensabile che il sedimento venga prelevato o in trappole sedimentarie (come a esempio i porti) o, qualora sia fatto in mare aperto, a profondità maggiori della profondità di chiusura. Prelevare sabbia lungo la spiaggia a profondità minore della profondità di chiusura potrebbe causare un abbassamento del fondale della spiaggia sommersa con conseguente vanificazione dell’opera in tempi piuttosto ridotti e conseguente sperpero di denaro. Oltre la profondità di chiusura le sabbie non hanno generalmente una adeguata granulometria e pertanto è necessario ricercare particolari depositi come quelli formatisi in epoche remote e attualmente ubicati a profondità di alcune decine di metri (a esempio spiagge formate durante la risalita post glaciale del livello del mare e attualmente sommerse).
Figura 6 – In alto immagine LiDAR di pennello a T che mostra la zona di calma da esso generata. In basso foto di pennello a T con l’evidente deposito di sabbia prodotto.
Figura 7 – Ripascimento di una spiaggia effettuato da cava marina con invio della sabbia dalla nave a riva mediante tubazione. Ai fini di un intervento durevole è sconsigliabile l’uso della sabbia della stessa spiaggia.
Difficilmente un intervento di ripascimento risulta duraturo se non adeguatamente protetto. Si ricorre pertanto a barriere e pennelli per limitare la dispersione rapida del sedimento riportato. Normalmente il ripascimento viene completato con pennelli a T o con barriere e pennelli sommersi che costituiscono una sorta di celle da cui il sedimento si disperde con difficoltà (fig. 8). Quest’ultima tecnica si dimostra la più efficace anche se la più costosa. Essendo il ripascimento protetto un’opera impegnativa anche dal punto di vista economico ha una ragion d’essere in quelle spiagge che per attività commerciali hanno grande reddito. Inoltre le difficoltà di reperire cave sufficientemente adatte per qualità della sabbia e facilità di estrazione e collocamento, rendono la tecnica del ripascimento protetto un’opera da fare “non ovunque e non per sempre”.
Qualunque sia la tecnica utilizzata per la mitigazione del fenomeno erosivo essa va nel tempo mantenuta con opere di ripristino della forma e della posizione di barriere e pennelli e di ricarico sedimentario dei tratti di ripascimento pena la perdita di efficacia, in tempi più o meno lunghi, dell’opera stessa. Le suddette tecniche devono essere utilizzate dopo un attento studio dell’area di intervento considerando la risposta dell’ambiente anche nei dintorni dell’opera progettata onde evitare danni collaterali talvolta piuttosto gravi.
Figura 8 – Ripascimento protetto con barriera e pennelli sommersi (visibili come tracce più scure in mare) effettuata su parte del litorale di Ostia all’inizio del XXI secolo.
Le tecniche sopra discusse risultano utili se la causa del fenomeno erosivo è una carenza di rifornimento sedimentario ma non hanno grande efficacia nei confronti del sollevamento del livello marino. Lungo le spiagge del delta del Tevere il livello marino si è sollevato dalla fine del periodo romano al XX secolo con un tasso medio prossimo a 0.6-0.8 mm/anno, l’attuale fase climatica calda sta accelerando il sollevamento oggi stimato in almeno 3 mm/anno. Tale fenomeno, qualora dovesse protrarsi nei prossimi decenni, metterebbe in serio pericolo l’esistenza stessa delle locali spiagge con arretramento della linea di riva di decine di metri. Non potendo efficacemente mitigare tale rischio con le tecniche suddette si potrebbe essere costretti a sollevare le eventuali costruzioni costiere o ad arretrare qualunque impianto lungo riva (fig. 9).
Prospettive per le spiagge del delta del Tevere
Considerando che l’apporto del sedimento da parte del Tevere è oggi assai limitato e che non ci sono motivi di ritenere che questo possa aumentare in modo significativo in un futuro prossimo e che, inoltre, non sembrano esserci motivi per ipotizzare a breve una diminuzione del tasso di sollevamento del livello marino, le prospettive per la salvaguardia delle spiagge del delta tiberino non sono certo rosee. Indubbiamente si possono intraprendere azioni per mitigare il rischio erosivo e sarebbe bene procedere considerando tutto l’insieme delle spiagge deltizie evitando di agire con piccoli progetti locali che frequentemente risolvono per tempi brevi un locale problema aggravando in tempi più lunghi il problema generale. La tecnica del ripascimento protetto con barriere e setti sommersi sembra fornire i migliori risultati e benché costosa ha una sua logica applicarla a protezione di spiagge ad alto reddito quali quelle di Ostia e di Fregene. Anche il ripascimento protetto con pennelli a T, benché di minore efficacia, può dare risultati accettabili. In presenza di un significativo tasso di sollevamento del livello marino tali tecniche potrebbero garantire, tuttavia, una buona mitigazione solo per alcuni anni.
Figura 9 – Possibili azioni di contrasto al sollevamento del livello marino. Il fenomeno pone serie difficoltà per le aree costiere e ciascuna possibile azione non risulta né di facile attuazione né indolore
Bisogna inoltre valutare con attenzione l’effetto sul fenomeno erosivo indotto dalle opere portuali progettate in prossimità delle foci del Tevere (porto croceristico di Isola Sacra e porto commerciale di Fiumicino) inserendo nei costi delle opere anche quello del ripristino delle spiagge che tali opere potrebbero danneggiare. Considerando che il rischio è di fatto una perdita di valore economico a seguito di un evento naturale, la sua mitigazione dovrebbe passare non solo attraverso opere tese al controllo dell’evento naturale ma anche per una limitazione del valore dei beni più esposti. Sarebbe quindi utile non costruire sulle spiagge costose strutture fisse (in cemento o in muratura) ma utilizzare strutture facilmente smontabili arretrando, ove possibile, strutture come ristoranti, piscine e strade di comune viabilità che in tempi non troppo lunghi potrebbero, purtroppo, essere danneggiati.
A cura di Piero Bellotti