La storia del Posamine Ostia

Risorta a nuova esistenza, collegata a Roma con una magnifica strada e celeri mezzi di comunicazione, l’odierna Ostia vede nella stagione estiva riversarsi sulla sua spiaggia gran parte della popolazione dell’Urbe, a scopo di bagni, di ritrovo, di gite e di feste, mentre sulle acque della sua rada, che videro i fasti delle antiche flotte ro mane, si adunano, dopo le annuali esercitazioni e manovre, le forze navali della nuovissima Italia, per esservi passate in rassegna dal Capo dello Stato o del Governo, ed a ricordare che senza il do minio del mare Roma non avrebbe conquistato ne potuto conservare l’impero, e che nella vita dei popoli marittimi, non vi è vera gloria ove non vibri possente ed ascoltata la grande voce del mare”. Questa premessa, estratta da un testo datato 1929 del Ministero della Marina, conferma come il regime fascista avesse riservato un ruolo di primo piano ad Ostia ed al Litorale Romano, nell’ottica della rinascita nazionale dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale.

Per evidenziare questa importanza simbolica, a partire dal 1924 il regime impartì l’ordine di costruire una classe di navi posamine denominata Ostia, in onore di questa nuova realtà che stava collegando Roma al suo mare, progettate dal generale del Genio Navale Francesco Rotundi, con l’intento di realizzare un tipo di imbarcazione d’impiego polivalente che sarebbe potuta servire sia come posamine che come nave coloniale e nave-scuola. A questa classe di navi appartenevano anche le navi Azio, Lepanto, Legnano, Dardanelli, Milazzo e Ostia. Successivamente all’evoluzione degli eventi internazionali, prima l’avventura coloniale in Africa dell’Italia e poi lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il loro principale compito sarebbe consistito nella posa di campi minati difensivi nelle acque delle colonie e dei possedimenti italiani in Mediterraneo e Mar Rosso, a difesa delle relative coste, oltre che alla posa di sbarramenti difensivi sulle rotte d’accesso ai porti italiani; inoltre, tali unità avrebbero provveduto alla posa di sbarramenti offensivi sulle rotte percorse dal naviglio avversario, ed erano anche in grado di essere impiegati come dragamine.

Nello specifico, per quanto riguarda la nave Ostia, dal registro matricolare si evince che essa venne ordinata il 1° luglio 1924 e che l’autore del progetto fossero i Cantieri Navali Riuniti; a partire dal 22 maggio 1925 venne impostata nel “Cantiere Navale Triestino” a Monfalcone. Varata il 4 dicembre dello stesso anno, finì di essere allestita il 17 novembre 1926. Il risultato fu una nave posamine di 625 tonnellate con equipaggio di 71 membri, che poteva raggiungere una velocità di 15 nodi con armamento standard composto da 10 pistole Beretta con 1000 munizioni, 30 moschetti tipo 1891 con 5600 munizioni, 2 mitragliere Colt da 40 con 2000 munizioni e 3 cannoni, 2 102/35 e 1 76/40. La nave, a cui venne assegnato il motto “Ostia obsero”, chiudo le entrate, ovvero, sbarro il passo, venne armata per la prima volta e consegnata alla marina il primo marzo 1927 a Monfalcone. Fino all’ottobre 1929 effettuò esercitazioni e trasferimenti nelle acque dell’Adriatico spostandosi, poi, tra il 2 novembre e il 23 dicembre 1929 ad Ancona; dal 24 dicembre al 21 maggio 1931, venne trasferita a Fiume, dove venne adibita a nave-caserma; quindi, dopo altre esercitazioni effettuate in Adriatico e Jonio, il 18 novembre 1933 lasciò definitivamente Taranto e l’Italia per portarsi in Eritrea, a Massaua, dove giunse il 1° dicembre. È proprio qui che si trovava allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale; durante le ostilità, sotto il comando del tenente di vascello Nicolò Virzì, in carica dal 18 febbraio 1939, la nave effettuò numerose missioni per la posa di torpedini, segnali e scandagli, nonché di dragaggio mine nelle acque del Mar Rosso tra Massaua, Suez e Assab.

Pur non partecipando a combattimenti veri e propri, la nave venne colpita da un attacco condotto da unità aree britanniche il 6 agosto 1940 nel quale rimase ferito il torpediniere calabrese Francesco Quattrocchi. Ai primi di aprile del 1941, in previsione dell’attacco inglese contro l’importante porto sul mar Rosso di Massaua, L’Ostia venne disarmato e le sue artiglierie furono impiegate a terra per sbarrare l’offensiva nemica. L’8 aprile, nell’imminenza della resa della piazza, il posamine fu autoaffondato in porto, insieme ad altri 18 mercantili italiani e tedeschi e ad unità minori. Essa, in particolare, si autoaffondò all’imboccatura del porto commerciale, insieme a diverse altre navi, per ostruirne l’accesso.

Dopo l’occupazione di Massaua, le forze britanniche si attivarono per liberare il porto dai relitti e renderlo nuovamente utilizzabile, operazione che richiese oltre un anno. Uno degli scafi che crearono maggiori problemi fu proprio quello dell’Ostia, dato che il posamine aveva ancora le mine inesplose ed in grado di detonare. Nel dicembre 1941 il relitto venne recuperato dalle autorità britanniche e portato al largo, in acque profonde, dove venne fatto nuovamente affondare.

Se le vicende della nave si conclusero con questo episodio, di certo non si può dire lo stesso dell’equipaggio. La “Direzione Generale del personale e dei servizi militari” del Ministero della Marina, il 16 dicembre 1942 comunicò che, “secondo accertamenti eseguiti, (…) è risultato che tutto il personale già appartenente a tale unità si trova prigioniero del nemico” ad eccezione del sottufficiale 2° capo classe 1913 Giovanni Zennaro, che risultò disperso e non venne mai più ritrovato. Secondo un carteggio avvenuto tra il Ministero della Marina e la Croce Rossa Italiana avvenuto tra il marzo e l’agosto 1942, sappiamo con certezza che alcuni componenti dell’equipaggio fossero prigionieri in India e in Sud Africa, territori appartenenti alla corona inglese.

La storia dell’unità Ostia cesserà il 18 ottobre 1946, quando verrà ufficialmente radiata, portandosi dietro tutto il suo carico di simbologia fortemente voluto dal regime fascista.

A cura di Marco Severa

Libro analizzato in archivo: “La marina italiana nella seconda guerra mondiale Navi perdute Tomo I: navi militari” edizione 1951

Ministero della Marina “Ufficio del capo di stato maggiore- ufficio storico” “I nomi delle nostre navi da guerra”, a cura di Udalrigo Ceci, Istituto Poligrafico dello Stato – 1929